La facoltà della donna di determinarsi da sé, di agire secondo la propria volontà e la propria ragione, fino a portarla alla libertà.
Una strada da percorrere tra dolore e maldicenze, tra rinunce e ricerche, fino a risvegliarsi nel pieno rispetto di se stessa. In una parola sola, coraggio.
È la storia vera di Fahrije, una donna vedova di guerra che vive in un piccolo paese nel cuore del Kosovo.
Paese che odora di morte
È la storia di tante donne che hanno perso mariti e figli durante i massacri del 1999, di mani che hanno seppellito i propri cari e che hanno dovuto imboccarsi per poter ricostruire – un domani.
È La storia di donne stoiche che non hanno avuto la fortuna di avere una tomba dove poter piangere il loro amore perduto – riportata con maestosità dalla giovane regista kosovara Blerta Basholli, nel suo primo lungometraggio, presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival di quest’anno, che cederà la strada agli Oscar.
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Un film doloroso, partorito dalla guerra e dall’amore per la vita, dove la protagonista Yllka Gashi, ovvero Fahrije, cerca un equilibro tra i paradossi, risale gli abissi e ricuce i tagli profondi della propria pelle – eternamente ferita – come le montagne dei Balcani.
Un alveare, un desiderio che pulsa nelle vene ristrette. Seguire qualcosa che possa dare senso e divenire sopravvivenza, mantenendo viva la memoria e la dignità, in un luogo dove la parola emancipazione è quasi intollerabile, perché le donne devono stare a casa a badare alla famiglia.
Famiglia della quale rimane solo il suocero, i due figli ed il test del DNA su resti di corpi e indumenti dispersi. Famiglia che dovrà mandare avanti solo con il miele delle arnie che curava il marito. Miele che non potrà mai addolcire il profondo amaro, ma che saprà trasformarlo in una vera lotta, mettendo su un’impresa del tutto femminile non solo per se stessa, ma anche per le altre donne del paese. Un paese che conosce il prezzo della libertà.